lunedì 3 agosto 2015

Sono 11 anni che il G.T.A sollevò il problema della nostra frutticoltura, è rimasto inascoltato e questo è il risultato!!!

Dopo lunga malattia
Qui giace la peschicoltura romagnola 
vittima di politiche commerciali
dei:
produttori che ancora pensano di fare soldi con calibri piccoli e qualità scadente, quando invece dovevano cacciare via dirigenti e direttori che ci hanno portato al "declino"!!!!
 Direttori commerciali che avendo bisogno di KG. da lavorare per pagare gli enormi ed inutili magazzini ci hanno spinto alla produzione di massa e ancora sperano 
nell'AIMA versione moderna
CDA e PRESIDENTI di OP che insieme ai direttori commerciali hanno trovato sempre modo di non fare aggregazione concrete e funzionati !!
 

Cerchiamo tanti colpevoli ma sono tutti qui
coloro che hanno sempre evitato di parlare del problema!!





 Ecco la "sentenza" del
Prof. Roberto Della Casa




 Perchè continuare l'accanimento terapeutico sulle pesche?








 

 

 

 

 Perchè continuare l'accanimento terapeutico sulle pesche?

Sono ormai diversi anni che cerco di rappresentare in chiave giornalistica i mali della nostra peschicoltura, prendendo a prestito termini medici (si veda l'ultimo editoriale dello scorso anno sulla "febbre da cavallo") per denunciare a più riprese il grave quadro clinico del paziente. Quest'anno, però, dopo l'ennesimo immobilismo pre-crisi, anticipato a partire dalle inconsistenti conclusioni del convegno peschicolo di ottobre (clicca qui per leggere l'editoriale "Convegno Peschicolo: la parola d'ordine è programmazione?"), di fronte all'atteso peggioramento cronico del malato mi sento obbligato a invitare il comparto a staccare la spina per evitare un inutile accanimento terapeutico. Quando il paziente non da più segni di ripresa e solo la tecnologia lo tiene in vita, se vi è sofferenza – come in questo caso – è giusto a mio avviso pensare all'eutanasia.

Sgombro subito il campo da due equivoci che non vorrei producano false strumentalizzazioni. Primo, i realizzi sulle pesche e le nettarine che i nostri operatori in questa campagna ritraggono dalla GDO tedesca sono analoghi – o forse anche leggermente migliori in talune situazioni – a quelli dei concorrenti spagnoli. Che le quotazioni ufficiali all'ingrosso sui mercati ortofrutticoli tedeschi vedano i nostri concorrenti in vantaggio sui prezzi non significa nulla poiché si tratta di un mercato residuale (clicca qui per leggere la news "Germania: pesche e nettarine italiane dominano il mercato, ma solo in quantità) e non è serio pensare di poter trovare colpevoli di quanto sta accadendo per questa strada.
Altrettanto: l'embargo russo ha un peso minimo sulla crisi della nostra peschicoltura e su quella dei nostri concorrenti e non è vero il contrario come ho letto a più riprese. Il mercato russo, infatti, prima della chiusura delle frontiere valeva meno del 3% del nostro export di pesche e nettarine e intorno al 7% di quello spagnolo. Non si può definire esportatore nel senso proprio del termine chi non riesce a riposizionare tali quote con un anno e mezzo di preavviso, per cui smettiamo di dare la colpa dei nostri guai a Putin.

Viceversa, partecipando durante l'inverno ad alcune riunioni promosse dalle rappresentanze del mondo agricolo qualcosa in più sulla crisi della peschicoltura l'ho capita: gli agricoltori non sanno, o forse fingono di non sapere, il motivo di quanto sta accadendo. Puntano il dito sul lavoro nero in Spagna, come se in Italia non esistesse, o si indignano del comportamento della distribuzione, senza considerare quanto oggi loro stessi fanno con chi produce materiali per il confezionamento usando la stessa arma del potere contrattuale. Nessuno, almeno apparentemente, sembra invece consapevole dell'unica vera causa: l'aver generato offerta senza creare adeguata domanda. Pare banale ma il sistema peschicolo si è dimenticato di questa regola base della costruzione del valore. Se non ci credete guardate il disastro che stanno combinando gli spagnoli sulle pesche piatte. In pochi anni, per aver piantato forsennatamente senza costruire adeguata domanda, stanno trasformando una miniera d'oro in una disastro coronato dall'ennesimo crollo delle quotazioni.

Che fare dunque? Con questo assetto  produttivo nulla di risolutivo si può fare. Occorre prima cambiare i paradigmi di base come dicevo lo scorso anno (clicca qui per leggere l'editoriale  "Crisi delle drupacee: l'epilogo di un destino segnato"). O si lavora in modo concertato a livello Europeo, con Spagna e Grecia prima di tutto, per riequilibrare l'offerta con la domanda, che va in ogni caso sviluppata, oppure il mercato farà la sua selezione e non occorre essere degli indovini per capire chi perirà prima.
Oppure, se l'uso della concertazione negoziale rimarrà una chimera in questo settore, occorrerà provare a percorrere l'unica altra strada possibile: lavorare nell'identificare e promuovere elementi distintivi dell'offerta nazionale – sempre che esistano o siano almeno costruibili – per vendere con profitto al posto degli altri quando l'offerta sarà eccedente la domanda. Se considerate questa eventualità un'utopia domandatevi perché vendiamo mele per la fascia alta del mercato a paesi grandi produttori di pomacee o jeans a chi li ha inventati e se, malgrado l'evidenza, continuerete a pensare che non sia possibile differenziarsi, allora non resta che l'eutanasia.
 La domanda sorge spontanea....
Se la peschicoltura è da eutanasia,
la frutticoltura è alla .....
"febbre da cavallo"
delle pesche 2014 !?!?!?
Le strutture cooperative in che stato di salute
sono, e le aziende agricole??



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